La canzone italiana nella storia d’altri tempi
…in questa galleria, c’era una volta un re…Giovanni D’Anzi
scrisse magiche note e la più dolce serenata la cantò per Milano
” o mia bela Madonina”
Nel buio totale della sala, una voce recita questa dedica del comune di Milano, posta in via del corso 3 nel 1960, al suo musicista più popolare.
Poiché una flebile luce, illumina la tastiera del pianoforte al centro del palco, inizia un motivo dolente che suggerisce al pubblico nascosto nell’oscurità, il verso ” finestra chiusa”…
E’ il primo di una carrellata di brani, “mi sento tua” “silenzioso slow” “voglio vivere così” “non dimenticar le mie parole” “ma l’amore no” ecc..che si snodano pian piano, insieme all’aprirsi delle luci che, l’uno dopo l’altro, accendono i vari strumenti. Garbatamente, compare anche la voce solista, spiccando dall’insieme del “tutti” corale ed armonioso.
A chiudere sommessamente la prima scena è appunto ” o mia bela madonina” con il solo registro a nota semplice di fisarmonica, accompagnata dal pianoforte.
A sorpresa, non in programma nel cartellone della stagione, Venerdi 22 dicembre 2006 nel salone San Lorenzo di Palosco una piacevole serata a scopo benefico ha intrattenuto il pubblico con il concerto di musica classico-leggera intitolato “La canzone italiana nella storia d’altri tempi”.
E’ stata la prima di un racconto musicale degli avvenimenti, le gioie, i drammi, i ricordi della guerra, gli usi e i costumi, nonché i sentimenti più significativi dell’Italia e delle sue più importanti città; tutto quel che suscitano le più popolari melodie di leggendari autori italiani, depositari del nostro patrimonio musicale, storico e culturale.
Molteplici e diversi i contenuti del concerto, che si articolano attraverso le musiche scritte per il cinema soprattutto italiano, fin dall’avvento del primo sonoro con il trentenne Vittorio De Sica, in “gli uomini che mascalzoni” del 32 dove compare per la prima volta “parlami d’amore Mariù” di Cesare Andrea Bixio.
In scena anche i testi e la musica di Petrolini, tra i primi protagonisti del teatro, del cabaret surrealista, infatti, sempre del 32 la famosissima “tanto pe’ canta’ ” riportata al successo da Nino Manfredi che la reinterpretò al Festival di Sanremo ne 1970 come un vero e proprio pezzo teatrale. E ancora i testi in milanese di Giorgio Strehler, questa volta con “ma mi” del 1959, la drammatica vicenda (probabilmente autobiografica) del partigiano rifugiato in Svizzera e catturato dai nazisti, imprigionato nel 44 nel carcere milanese di San Vittore, “ a ciapaa i bot, sbattuu de su e sbattuu de gio” riuscendo però a non tradire i suoi amici, nonostante le torture. La musica di Fiorenzo Carpi, e portata alla popolarità da Ornella Vanoni, nei suoi albun della “mala”.
La commedia Musicale per il teatro e soprattutto per la televisione di Garinei & Giovannini, iniziatori e autori ella maggior parte degli spettacoli e palinsesti della radio e poi televisivi (allora EIAR, oggi Rai). Di questi, i primi spettacoli negli anni 50, “Il musichiere” con il Maestro direttore e compositore Gorny Kramer e il presentatore Mario Riva; molti noti cantanti e attori del nostro passato devono a loro l’esordio e il successo in tutto il mondo.
Di Kramer diversi successi: domenica è sempre domenica” nota sigla televisiva del già citato musichiere, la vivace “non ti fidar” con i tipici incisi contrappuntistici del Jazz importato, suonata solo al pianoforte, ma in un divertente gioco a sei mani.
Non è mancato il malinconico e nostalgico ricordo del periodo bellico con “vecchio scarpone”, terzo posto al Festival di Sanremo del 53 per gli interpreti di Gino Latilla e Giorgio Consolini. La partenza, le difficoltà, i dolori, e il ritorno pieno di speranza e gioioso come in “mamma” sempre di C.A. Bixio e Cherubini e composta nel 41 come colonna sonora dell’omonimo film, interpretato tra l’altro da Beniamino Gigli in duplice ruolo di attore e cantante.
Un variopinto tour fra le città italiane: un racconto dei costumi, dell’amore, delle peculiarità e dei luoghi di Venezia, Genova, Milano, Firenze, Roma, Napoli…
Il dramma degli emigranti: la miseria, la lontananza, la malinconia, le sofferenze, raccontate nelle più toccanti canzoni di quegli anni. E qui ritorna D’Anzi con la sua “Nostalgia de Milan”, e ancora la malinconica e storiografica “Ma se ghe pensu” composta nel 1925 da Mario Cappello e Margutti. Il brano diventato simbolo della canzone genovese parla di un emigrante che pensa quanto sacrificio gli sia costato in America latina racimolare un gruzzoletto per farsi una casetta con il giardinetto, il figlio cerca di convincerlo a restare dato il tempo trascorso, ormai più di trentanni, ma il ricordo della sua Genova e dei luoghi natii costringe il padre a tornare. Il brano non smette di commuovere ancora oggi dopo anni di interpretazione da parte di grandi cantanti fra cui lo stesso Cappello dopo l’esordio con il soprano Luisa Rondolotti. All’epoca anche Gilberto Govi contribuì al successo del bano. Tanti cantanti, da allora si cimentarono con il testo in dialetto genovese, da Gino Paoli, Bruno Lauzi, Massimo Ranieri, Antonella Ruggero, non ultima Mina in una toccante versione con l’accompagnamento di un magico coro nel programma televisivo Rai del 67 “Sabato sera”. Questa versione, tra l’altro arrangiata da Bruno Canfora, è stata riproposta molte volte dal lontano 67 ed a proposito, è significativo citare (per rimarcarne l’intensità interpretativa) che qualche anno fa, in un programma di Paolo Limiti dedicato appunto a Mina, venne rimandato in onda questo spezzone con grande commozione di tutto il pubblico che alzatosi in piedi non trattenne un lungo applauso.
Bellissimo il momento delle luci e dei colori della laguna veneta : “cantata per Venezia” eseguita e diffusa (soprattutto in uno spettacolo con Mina) da Fernando Germani, organisti fra i più grandi del mondo, primo interprete italiano dell’ integrale di Bach, Max Reger e Franck. Subito dopo la guerra questo grande musicista si esibì in diversi concerti nella chiesa di Sant’Ignazio per i soldati ed anche per i prigionieri tedeschi. Suonò Bach anche per la colonna sonora de “l’albero degli zoccoli”.
E ancora: “Firenze sogna”, la romantica Firenze degli innamorati, ” dicitencello vuje” scritta nel 1930 da Falvo dove l’appassionata e disperata dichiarazione d’amore si rivela all’amante in maniera velata ed indiretta, “l’era tardi” di Enzo Jannacci altro brano di “denuncia” dell’indifferenza sociale dopo aver vissuto malinconici ricordi di guerra con l’amico Rino.
Dalle commedie di Garinei & Giovannini, “Roma non fa la stupida stasera” la concertata e contrapposta richiesta di aiuto alla città durante la festa dei lanternoni, da parte di Rugantino, Rosetta e i cori di uomini e donne. In questo caso la musica è di Armando Trovajoli.
Insomma, un programma denso di sorprese e di emozioni, all’insegna dei ricordi e del passato musicale che ha attraversato la penisola italiana, in cui il pubblico viene immerso in un’atmosfera che è al tempo stesso elegante e popolare, grazie alle canzoni che hanno segnato la storia del nostro Paese. Ci si trova a viaggiare nel tempo – dall’inizio del ‘900 al primo dopoguerra. Un quadro panoramico e vivace , ma anche un poco nostalgico dell’Italia da nord a sud, con uno sguardo attento ai sentimenti e all’amore per i propri luoghi, come la devozioni di Milano per la sua Madonina, la canzone Napoletana i cui testi si raccontano da soli e la poesia non ha bisogno di presentazioni, i colori malinconici di Venezia, Genova, Firenze e poi Roma con i loro testi vernacolari. Il tutto annunciato da un narratore, con sintesi più tendente alla poetica che al solito presentare ciò che seguirà. Il canto quasi sempre presente, è affidato a Elisabetta Martinelli e lascia spazio anche ad interventi ed assoli ai vari strumenti che si alternano sul palcoscenico. Le luci, con giochi delicati, illuminano ed adombrano il pianoforte, le tastiere, le chitarre, i mandolini e la fisarmonica, seguendo le varie “atmosfere” dei brani, caratterizzando più intensamente l’ascolto ricco di intense emozioni.
Il concerto è stato ideato, arrangiato e diretto artisticamente dal M° Giampaolo Botti.
Roberto Premoli