Sarebbe troppo lungo ricordare tutte le sue opere: Missa Papae Marcelli a 6 voci, l’adorante Ego sum panis vivus (4 voci), Sicut Cervus (4 voci), Super flumina Babylonis (4 voci), ordinari di messe, graduali, mottetti sacri (se ne contano più di 500), antifone e molto ancora. Al vertice del pensiero polifonico rinascimentale troviamo lui, Giovanni Pierluigi da Palestrina. Nato 494 anni fa vicino a Roma la sua produzione ha segnato per sempre la nostra esperienza musicale. L’arco della sua vita vede la trasformazione radicale dell’Europa cristiana. Alla sua morte (1594), Lutero e Trento avevano cambiato la storia religiosa dell’occidente.
Il cardinale Bartolucci ne delineava così la grandezza: “Palestrina è il primo patriarca che ha capito che cosa vuol dire far musica; lui ha intuito la necessità di una scrittura contrappuntistica vincolata dal testo, aliena dalla complessità e dai canoni della scrittura fiamminga. (…) La musica è arte con la “a” maiuscola. La scultura ha il marmo, l’architettura l’edificio… La musica la vedi solo con gli occhi dello spirito, ti entra dentro. E la Chiesa ha il merito di averla coltivata nelle sue cantorie, di averle dato la grammatica e la sintassi. La musica è l’anima della parola che diventa arte. In definitiva, ti dispone a scoprire e accogliere la bellezza di Dio”.
Puer cantor in S. Maria Maggiore, allievo dei maestri fiamminghi, maestro nelle principali basiliche di Roma, la sua musica si sposava perfettamente con le liturgie della corte papale, non prive di quelle qualità spirituali che le rendevano degne del culto divino. Prima di essere un grande artista era un uomo di fede. Sulla scorta di grandi maestri europei, come J. Deprez e O. di Lasso, Palestrina incarna lo spirito della Riforma cattolica cercando una musicalità nuova e capace di evitare virtuosistici e sterili giochi di voci, restituendo al testo un carattere sacro.
Amico di S. Filippo Neri, componeva per lodare Dio e per aiutare gli uomini a sollevarsi verso le più alte vette della spiritualità. I testi gregoriani, necessario punto di partenza del canto liturgico cattolico, sono riletti in un canto che interpreta il testo senza deformarlo, riuscendo a armonizzare la tradizione monastica medievale e la polifonia sempre più emergente. La leggendaria vicenda della Missa Papae Marcelli, scritta per convincere il papa della legittimità della polifonia nella liturgia, è esemplare del clima molto acceso creatosi attorno al tema del canto sacro. I protestanti rifiutavano il gregoriano per affidarsi al nuovo genere del “corale”, i cattolici più intransigenti non volevano correre il rischio di cedere a musiche polifoniche equivoche e inadatte alle celebrazioni. Nel 1562, a Trento, si propose di abolire definitivamente la musica polifonica dalla vita della Chiesa. Palestrina, con le sue note, riuscì a evitarlo.
Quello che Domenico Bartolucci aveva intuito in Palestrina noi possiamo farlo nostro: egli fu colui che ha saputo andare alla ricerca “dell’anima della parola” sacra e l’ha trasformata in grande arte a servizio della liturgia e per il bene del popolo cristiano.
Attilio Vescovi