Boellman – Spiritualità dai suoni gotici
Il 28 gennaio 2006 mi trovavo nella chiesa del mio paese, Adro, seduto sui banchi, pronto per assistere all’ultimo concerto in occasione del restauro del nostro organo Pacifico Inzoli del 1891. Avevo 9 anni e ricordo come la navata fosse gremita di gente intenta a vociferare, finché giunse il momento delle presentazioni e poi il silenzio in attesa del concerto. Io ero curioso di sentire il suono di quello strumento enorme, bizzarro, ma allo stesso tempo affascinante. Conoscevo pochissimo la musica: avevo iniziato a “suonare” pianoforte solo due anni prima. Provai a leggere il programma e tra i nomi riconobbi soltanto quello di Verdi, di cui si riproponevano alcune trascrizioni per organo dalla sue opere più celebri. Il nome del primo compositore in programma mi era sconosciuto, non riuscivo nemmeno a leggerlo: era in francese. Tutt’a un tratto dal silenzio ci fu uno scoppio di suono. L’organista, di cui vedevo solo la testa, aveva iniziato a suonare: era un suono fortissimo che mai avevo sentito prima dal vivo. Mi ci volle un attimo per abituarmi, ma fu bellissimo. Il concerto era iniziato con la Suite Gothique (op.25) di Léon Boëllmann (1862-1897). Rimasi subito affascinato dalla musica che usciva da tutte quelle canne, non me ne capacitavo, ma poi mi abbandonai ad ascoltare quella melodia che subito mi aveva colpito; mi sembrava di essere in una grande cattedrale. Nient’altro ricordo di quel concerto.
Il tempo passò e, grazie allo studio della musica e del pianoforte, nel 2012 il parroco mi chiese di diventare organista. Poco dopo aver cominciato a prendere confidenza con l’organo e i suoi registri, quasi per caso trovai il CD che mia mamma aveva comprato la serata del concerto: subito lo ascoltai e con enorme piacere riscoprì la Suite di Boëllmann, di cui poi stampai lo spartito, deciso a impararmi almeno i primi due pezzi che mi avevano così affascinato, riconfermando quella bella sensazione che avevo ricevuto da bambino. Riascoltandola sentivo come tutta fosse improntata alla musica gotica: la mia ingenue impressione era giusta. Boëllmann, le cui composizioni includono lavori per organo, pianoforte, musica da camera e corali, ha composto la Suite Gothique nel 1895, esattamente due anni prima che la sua giovane vita terminasse. Il primo pezzo della Suite si apre con un’introduzione corale in Do minore che immerge l’ascoltatore in un Medioevo gotico, cupo, in cui il suono sembra prolungarsi nelle ampie navate di una
cattedrale dalle sontuose vetrate, fra pinnacoli, archi rampanti e capitelli scolpiti con figure mostruose: esattamente l’immagine dell’oscuro Medioevo romantico che Victor Hugo ha tramandato nel suo celebre romanzo Notre Dame de Paris, pubblicato nel 1831. Di tale influsso risentiva ancora sicuramente Boëllmann, nella Francia di fine Ottocento. Il secondo pezzo della Suite, il Minuetto Gotico in Do maggiore, ci conduce invece in un Medioevo più fiabesco, animato da sentimenti più solari data la tonalità in maggiore. Il compositore, sfruttando abilmente nel tema una successione alternata di accordi maggiori e minori, crea un’atmosfera antica e fantastica, sempre misteriosa, che lascia spazio anche a melodie dolci in cui il cambio di tonalità contribuisce a crearne una
cornice onirica e sfarzosa insieme. Il terzo pezzo dell’opera, intitolato Prière a Notre-Dame, in Lab maggiore, è concentrato sull’organo espressivo, perfettamente in accordo con le intenzioni del brano musicale che si caratterizza come elevazione spirituale a Dio. Sembra quasi la quiete prima della tempesta che prorompe nell’ultima parte della Suite, la Toccata in Do minore, il cui tema teso e a tratti inquietante viene continuamente ripetuto per tutta la durata del pezzo, fino alla fine in cui un’esplosione di suono termina la Suite in Do maggiore. Queste sono solo alcune delle caratteristiche che hanno contribuito a fare della Suite Gothique un’opera cardine del repertorio organistico. Essa è la testimonianza di un compositore di successo che, più che nella difficoltà tecnica dei suoi pezzi, amava forse metterci l’anima di nostalgico sognatore di un passato idealizzato.
Marco Grassi (studente)
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