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SUONI E ARMONIE 2014

Sala colma durante gli appuntamenti di Suoni e Armonie svoltisi la scorsa settimana.

Bravissimi i piccoli allievi che con le loro esibizioni e vestiti a tutto punto, hanno affrontato chi più chi meno spavaldamente la

la signora Riva al saggio con i bambini

salita della scaletta che porta dritta al pianoforte (gigantesco per loro). Anche i più timidi hanno superato la prova del pubblico grazie soprattutto alla simpatica Signora Riva che da anni è presente per condurre la serata. Con fantasia e garbo riesce sempre a spezzare l’atmosfera di ghiaccio iniziale e infondere un senso di festa , quest’anno arricchita ulteriormente da una sua improvvisata esibizione canora. E’ giunta poi la parte riservata ai corsi medi e superiori, ragazzi in giovane età mettersi alla prova con brani del repertorio pianistico, come valzer di Chopin, Notturni, Polacche, Preludi, Granados, Beethoven, Schubert, Bach…con i quali si è potuto notare il progresso tecnico, musicale e il percorso svolto dai giovani durante il corso dei loro studi.

 

Autografo del I improvviso di F. Schubert

 

Venerdi 23 il recital pianistico dedicato a Schubert, Schumann e Chopin con un’unica eccezione: la ballata in sol minore op. 118 di Brahms. Mattia Colnago, Alessandro Maffi, Stefano Colombi, Francesco Furore e Marco Grassi al pianoforte per circa 45 minuti con brani celebri di questi autori, fra cui gli improvvisi dell’op. 90 e 142 di Schubert, i notturni in Re bemolle op.27 e in Fa maggiore op.15, la polacca in Fa # minore op. 44 di Chopin.

 

 

Nella seconda parte del concerto è intervenuto Stefano Donatelli, che ancora una volta dopo il successo dello scorso anno, sempre a Suoni e Armonie, riconferma la sua abilità lasciando intravedere la tenacia con cui affronta lo studio dei brani del repertorio pianistico    più insidioso.

Clara Wieck e Robert Schumann

Stavolta erano gli Studi Sinfonici op. 13 di Schumann ad essere interpretati; un tema in Do # minore seguito da 11 studi (variazioni) e il finale.

Come sempre non sembrano esserci esitazioni, tutto ben detto e chiaro, dai pesanti accordi con gli accenti ritmici “sfasati”, al canone di ottave e accordi; tutto quanto di particolareggiato e indicato sullo spartito, tutto quanto rende difficoltosa la realizzazione di un passo e la complessità del gioco fra le due mani tipico della scrittura di Schumann. Ogni studio riportato all’uditorio, evidenziando la sorpresa e la colorita differenza che Schumann pone da una variazione all’altra. Sorpresa che ha raggiunto il punto più alto nel gran finale, una conclusione tutta alla “Davidsblundler” col tipico slancio eroico che caratterizza spesso i finali come il Carnaval e altro. Dopo il susseguirsi ininterrotto di tutti gli studi Sinfonici ber oltre 25 minuti di musica, la sala pressochè colma con il pubblico catalizzato, esplode in applausi ripetuti costringendo Stefano Donatelli a rientrare più volte.

Giampaolo Botti

Da Chopin a Kapustin

Un’esibizione davvero brillante quella di Stefano Donatelli, sabato sera all’auditorium di Piazza Castello.
Nonostante un programma arduo sia tecnicamente che stilisticamente, le mani di Stefano non sembrano avere incertezze.
D’altronde il modo di studiare e di affrontare poi l’esecuzione di qualsiasi brano, sono ormai noti a tutti quelli della “cerchia stretta”.
E anche per quelli non proprio della cerchia strettissima, che ormai non sono pochi, (soprattutto nel paese di Palosco dove da tempo si esibisce tramite e con l’Associazione di cui egli stesso fa parte), Stefano è una garanzia ogni volta che si avvicina alla tastiera. Per i collaboratori, per gli organizzatori, per il pubblico che lo conosce non c’è bisogno di biglietto di presentazione.

Le sue prime esecuzioni risalgono e nascono con “Suoni e Armonie” nel 1997, allora partecipante come allievo principiante, nel concerto serale della scuola; l’unica particolarità è che questo allievo di giovanissima età presentò un programma con brani di Chopin, Liszt, Rachmaninoff, e Scriabin.
Già allora si intuì, come questi brani di livello non lo intimidissero, e soprattutto, come gli fossero congeniali alcuni autori postromantici. Là, dove la musica si faceva complessa e la tecnica ardua, si vide una certà famigliarità, come se questi brani avessero lasciato il posto all’entusiasmo piuttosto che alla preoccupazione nonostante l’età.

da sinistra: Giampaolo Botti e Stefano Donatelli

Anche se a rigor di vero, Stefano oggi scrive che alcuni autori quali Granados, dopo averli sentiti in varie occasioni di saggi e manifestazioni locali, fossero già “nel mirino” a quell’epoca, arrivarono comunque più tardi, almeno per quanto riguarda il pubblico.
E sempre a rigor di vero, nelle discussioni, in cui caldamente e animosamente , si è molte volte dissertato nel corso di questi anni, di musica, di armonia, di stile e molto altro. Della musica e ciò che gli sta intorno si discute…da sempre.

A mio parere, ed a differnza di Stefano, tutto questo non fa parte tanto di “lacune scolastiche”, quanto di quel lavorio continuo che porta il nome di “maturazione”.
L’interpretazione dei brani di tutti i grandi autori, fra i quali anche Granados e Kapustin, è sempre (o almeno deve essere) il risultato di un lungo e attento lavorio; e soprattutto il fatto che ogni decisione di come e quando portare le proprie scelte all’esterno, nasce dal pensiero, dal ripensamento e dalla ricerca, dalla conoscenza e dalle idee. Se poi le scelte riguardano autori non comuni come Kapustin, il percorso è ancora più complesso.

il compositore e pianista Ucraino Nikolai Kapustin
1937-2020

In quanto a Kapustin: l’armonia è in movimento continuo fra modalità, tonalità e cromaticità con contaminazioni anche Jazzistiche; melodicamente scivola continuamente quasi sempre da una scala all’altra, sembra trovare la stabilità di un tema definito almeno armonicamente; qualche slancio romantico non manca, e ritmicamente le combinazioni sovrapposte e complesse non lasciano respiro…l’elemento ritmico più semplice è quantomeno la sincope.

Nicolay Kapustin, un maturo signore dalla barba bianca conosciuto oltre continente, con tutta l’aria del professore che si rivela quando seduto al pianoforte, sembra far diventare tutto semplice. Le sue composizioni cominciano da poco tempo ad apparire timidamente in qualche raro cartellone, e gli spartiti fino a qualche tempo fa erano difficilmente reperibili.

D’altra parte la scrittura dei grandi compositori non lascia spazio a mezze verità! Come diceva un mio grande maestro: “nella musica non si possono raccontar bugie”.
E le mezze verità sono verità non dette fino in fondo. Se si omette qualcosa, in sostanza si mente.
L’interprete oltre alle “mani” (che pure deve lungamente esercitare) si deve porre davanti al compositore con l’umiltà e la consapevolezza che quel che è stato scritto, non è spendibile con leggerezza.
In caso contrario si snaturerebbe il contenuto, il significato, l’intenzione del compositore; si tradirebbe il fine ultimo della musica. Personalmente mi sentirei di recare offesa al compositore se non alla musica stessa. Le “mani” sono il mezzo, ma la musica è la mente e l’anima. E tutto questo ha un costo, un costo a volte elevato che si prolunga nel tempo, negli anni. Non è gratutito neanche alle “nature dotate”. Ci si sente come incompleti, mancanti di qualcosa, e quando si finge di non vedere, è come se si tradisse la musica che fa parte di noi.
La musica per sua essenza non tradisce; le persone son capaci di tradire… ma la musica no!
E quindi il sentimento è di assoluta trasparenza verso quest’arte sublime…non è possibile tradirla.
Se da qualche tempo non sentivamo Stefano Donatelli regalare al pubblico nuove musiche, nuovi autori, nuove ricerche ed intenzioni musicali, l’altra sera questo è in parte avvenuto.
Uso l’espressione “in parte” perchè frequento la musica da anni, e mi sento di dire a cuor sereno che la strada potrà riservare sicuramente altre nuove scoperte ed emozioni.

el Pelele – Francisco Goya

Che Stefano Donatelli sia già “avanti” con il pianoforte, lo ha  ampiamente dimostrato in questi anni, ma ha anche dalla sua parte il fatto che è giovane, ed ha ancora molte risorse da giocare.

Nel frattempo ci mostra la vivacità dei colori dei quadri di Goya attraverso Granados. Due brani da “Goyescas”, la suite per pianoforte composta nel 1911 in due libri ispirata a opere di del grande pittore. I 2 brani eseguiti: “Los requiebros” (i complimenti) e “el pelele” (il fantoccio di paglia).

Questa raccolta, venne eseguita da Granados stesso, nel 1911 il primo libro fu eseguito al Palau de la Musica Catalana di Barcellona e il secondo libro nel 1914 alla Salle Pleyel di Parigi. Dopo il successo e la risposta entusiastica, fu incoraggiato a far di questo brano un opera dal pianista americano Ernest Schelling, che eseguì la Suite negli Stati Uniti,

La stessa, in un atto e tre quadri su libretto di  Fernando Periquet y Zuanznabar, andò in scena la prima volta al Metropolitan Opera di New York City il 28 gennaio 1916.

 

Schumann e Chopin vicini nel periodo romantico e così diversi fra loro. Anche i “classici” del repertorio pianistico non lasciano spazio ad incertezze.  Nonostante la contemporaneità storica, e l’amicizia fra Chopin e Schumann, le loro opere esigono tecnica, intenzioni, e rigore stilistico completamente differenti.

In sostanza un concerto di non facile realizzazione.

Ecco tutto, il resto si può immaginare…!
Sabato sera 11 maggio nell’Auditorium di Piazza Castello di Palosco, in concerto erano : Schumann, Chopin, Granados e Kapustin: un programma vario e ricercato, difficile, bello, inusuale e interessante.
Al pianoforte Stefano Donatelli.

Giampaolo Botti

Pierrot, Pippo e…l’Armando

Teodoro Simoni-Serenata

Dove te n’vai Pierrot,
pallido e mesto così

senza sorriso giocondo
sempre ramingo nel mondo
che vuoi sperar dalla vita quaggiù
quando v’è gente che non ama più
prendi la fida chitarra….ritorna a cantar
non lacrimar

Canta…Pierrot!
La più stolta canzone del cuore
canta perché…se tu piangi si burlan di te
non sospirar…nel ricordo del tempo che fu
devi, nella vita…
recitare la farsa anche tu…

 

 

 

Questo il piccolo prologo recitato sommessamente al principiar delle prime note di una malinconica voce di mandolino, accompagnato dal suono del pianoforte.

Pierrot, Pippo e…l’Armando ha fatto il bis, dopo il successo della “prima” paloschese lo scorso anno; la replica Sabato 2 Luglio in piazza Pertini a Palosco, con altrettanto entusiasmo dei protagonisti e riscontro del pubblico presente. A dire il vero questo è stato il “tris” richiesto, poiché la primissima fu ad Adro sempre lo scorso anno.

Lo spettacolo tratta dei ricordi e delle speranze, così come dei valori di un tempo ormai lontano…e mai così attuali.

Un viaggio musicale che attraversava le diverse sfumature della vita, partendo dalle interpretazioni melodiche di Cesare Andrea Bixio, fino a quelle del teatro leggero: i ritmi jazz di Gorni Kramer come punto di svolta della storia della musica italiana.

Un concerto che mette in luce come i temi dell’amore, della guerra, della sofferenza e dell’allegria vengano cantati con una sensibilità sempre più intensa, fino all’ironia e all’irriverenza di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci.

Nella ricca scaletta si ricordano capolavori storici come “la canzone dell’amore”, titolo del primo film sonoro con De Sica del 1930, la cui canzone di C.A.Bixio, meglio conosciuta come “solo per te Lucia” spiccava dalla colonna sonora. E non meno conosciuta “parlami d’amore Mariù” sempre di Bixio nel film “gli uomini che mascalzoni” del 1932.

A cantar d’amore si continua anche nel 57 con le commedie di Garinei & Giovannini musicate da Gorni Kramer, “un paio d’ali” che comprendeva la bellissima melodia di “non so dir, ti voglio bene” richiamando alla memoria, l’amore fra Petrarca e Laura, e Dante e Beatrice.

Poi ancora, “un bacio a mezzanotte” sempre di Kramer, e la “festosa” : Domenica è  sempre Domenica” dal musichiere con il grande Mario Riva.

“piccola Italy” invece ricorda la famosa vecchia strada di New Jork, la strada degli emigranti italiani, in cui ci stava una Piedigrotta, la pummarola, i panni stesi al sole…ma le guaglione ‘nammurate si chiamavano Mary e non Marì”.

E’ poi la volta di Enzo Jannacci con le sue originali storie umane drammatiche come “gli zingari” (scritta in tempi e in contesti sociali dove queste problematiche forse non erano ancora così in evidenza).

Ma anche là dove le storie personali si sommano a quelle sociali, come in “l’era tardi” dove la chiara espressione contro la guerra, passa attraverso il dramma di un uomo che nella malinconia di una sera, senza un soldo, con i debiti da coprire, cerca aiuto ad un amico, il Rino, ricordandogli i tempi eroici, quando al fronte combattevano fianco a fianco ” contra i bumb e i fusilad…”. Ma “l’era tardi, in quella sera straca” e il disturbare un vecchio amico, quando ormai tutto è passato e i grandi valori lasciano ormai il posto ad una società indifferente, si riduce ad uno spiccio epilogo con un angosciante niente di fatto.

Col trascorrere della serata, l’ atmosfera “impegnata” e la tensione drammatica, si delinea più incisivamente, insistendo con Jannacci e le sue “scarp de Tenis”. Qui l’indifferenza sociale è denunciato fortemente se pur con toni anche apparentemente ironici, perchè alla fine si passa sopra al cadavere del “barbun”.

Non di meno “l’uomo a metà” che vive nella più totale apatia, con nulla da ricordare della sua vita, senza ideali, con amori incerti, forse anche toccato dal dolore, ma ormai senza nemmeno essere  scosso dal passaggio di un aereo militare che “puzza di guerra, e neanche tanto lontano”.

“non ce l’ho la biro…”un momento del concerto

Jannacci non si smentisce nemmeno nel ” me indiriss”, quando trovandosi all’anagrafe e dopo aver avuto un inutile battibecco allo sportello per non essere in possesso di una biro, poi gentilmente prestatagli da uno sconosciuto, chiede un documento di nascita senza ricordare nemmeno più l’indirizzo, e ritornando di colpo al flash di un ricordo dei tempi “miseri” e della sua abitazione di “ringhiera” (così chiamata nel Milanese), dove persino i servizi erano “tripli…si, ma in mes al prà”.

Non è mancata nemmeno la “mala” raccontata in maniera ilare e quasi surreale da Jannacci, nel vivace e patetico “Armando” alle prese con una giustizia molto alla salsiccie e polpette.

Altra denuncia contro la guerra Jannacci la esprime con il ricordo autobiografico di suo padre, perso appunto nel periodo bellico, quando dalla finestra lo guardavano “partire e voltarsi a salutare con la mano…per non tornar mai più”.

Non mancano anche i momenti dove l’aria “tesa” si scioglie un pò. Le provocazioni e le denunce continuano ma in modo molto più garbato e giocando con l’ilarità fine di Giorgio Gaber che esterna la sua delusione al tavolino del solito bar, davanti a due bicchieri di “Barbera e Champagne”, o che si beffa allegramente di una Milano sempre più concentrica cantando “come è bella la città” al ritmo di un nobile valzer francese.

O ancora l’allegria del “Riccardo” che gioca al biliardo da solo, ma per tutti è “il più simpatico che ci sia”. Sempre là…al bar del Giambellino.

Altri bellissimi brani noti, come “amore fermati”, “la mia canzone al vento” “per un basin”, “Pippo non lo sa”,”un palco della Scala”, ” il valzer dell’ organino”….

Tutto in un programma ricchissimo di brani e di “emozioni” durato circa due ore. E come se non bastasse, alla fine non sono mancati tre omaggi a Lelio Luttazzi, Armando Trovajoli, ed alla amatissima Nilla Pizzi.

un momento del concerto-Piazza Pertini

Ricordo doveroso alla Regina della canzone, (a detta dei musicisti) con i suoi brani più noti: “vola colomba” “grazie dei fior” ” una donna prega” e ” una sera d’estate”, per la sua recente scomparsa.

La risposta entusiasta del pubblico non si è fatta attendere, in una “sera d’estate”, seduto tranquillo all’aperto, ad ascoltare belle melodie “ritrovate”, immerso in una moltitudine di colori e pensieri, mentre il tempo è trascorso velocemente, e una lieve brezza  che accarezzava i ricordi.

Giampaolo Botti

 

 

 

C’era un vecchio cantastorie

Teodoro Simoni-Solitaria voce d’osteria-1998

Una serata colma di emozioni forti, “colorate” dalle luci delle diapositive proiettate nel buio dell’auditorium Puccini di Adro, ieri, con un concerto ricco di brani, storie, curiosità, malinconie, e felicità che si alternavano fra un brano e l’altro trasportando lo spettatore ora nella Parigi all’epoca dei primi incontri culturali e artistici “poveri” fra filosofi, poeti, giocolieri, cantanti, “suonatori” di strada, pittori, …ora nella Berlino di “Lili Marlene”, il famoso brano che, nato come  “canzone di una giovane sentinella” durante la guerra del 15/18, fece il giro del mondo ancora quando dopo un ventennio, nel periodo bellico Nazista, Marlene Dietrich “l’angelo azzurro” la portava ai soldati divenendo la canzone sia dei Tedeschi che degli Alleati al fronte. Il passaggio dalla vita bohèmienne della Parigi di fine Ottocento, i café chantant, le Chat Noir, le Mouline Rouge, Montmarte e dagli chansoniers al varietà italiano, l’avanspettacolo, e ancora da Petrolini, Totò e Fabrizzi, sino allo spettacolo televisivo con la commedie musicale di Garinei & Giovannini. Il cinema in bianco e nero che immortalava nelle colonne sonore, temi astorici come “Eternamente” dal film Luci della ribalta,”la violetera” dell’indimenticabile scena della fioraia in Luci della città, “Smile” “Titina” in Tempi moderni di Charlie Chaplin o “come pioveva” in “mio figlio professore” con Aldo Fabrizi.

Nel 62 usciva Rugantino di Garinei & Giovannini, la commedia musicale per il teatro e successivamente anche per la Televisione con Nino Manfredi, Bice Valori, e il già citato Aldo Fabrizi. Le musiche erano di Armando Trovajoli fra le quali la dolcissima “ciumachella de Trastevere” e l’indimenticabile “Roma non fa la stupida stasera” dove protagonista diventa la stessa eterna città di Roma che, durante la “festa dei lanternoni”, deve “di de si” ai desideri del giovane Rugantino e “dì de no” ai timori della bella Rosetta.

Uno spettacolo a tutto tondo, per ripercorrere quello che è stato il cambiamento dell’artista popolare tra l’ottocento e il Novecento: dalla strada al caffè concerto, al varietà nei teatri, alle prime trasmissioni radio sino all’avvento di quelle televisive.

La musica, il canto e la recitazione si fondono ricreando la goliardia di un cafè chantant, le scintillanti atmosfere del varietè, la sacralità e la drammaticità dei sentimenti della gente comune, prima, durante e dopo la guerra, i tempi pionieristici dell’EIAR e dei successivi programmi Rai.

La narrazione era affidata a Giulio Pedrini, la voce solista a Elisabetta Martinelli coadiuvata da coretto di bambini  accompagnati dagli strumenti. Il concerto è stato ideato e arrangiato da Giampaolo Botti.

Roberto Premoli

La canzone italiana nella storia d’altri tempi

…in questa galleria, c’era una volta un re…Giovanni D’Anzi
scrisse magiche note e la più dolce serenata la cantò per Milano
” o mia bela Madonina”

Nel buio totale della sala, una voce recita questa dedica del comune di Milano, posta in via del corso 3 nel 1960, al suo musicista più popolare.

Poiché una flebile luce, illumina la tastiera del pianoforte al centro del palco, inizia un motivo dolente  che suggerisce al pubblico nascosto nell’oscurità, il verso ” finestra chiusa”…

E’ il primo di una carrellata di brani, “mi sento tua” “silenzioso slow” “voglio vivere così” “non dimenticar le mie parole” “ma l’amore no” ecc..che si snodano pian piano, insieme all’aprirsi delle luci che,  l’uno dopo l’altro, accendono i vari strumenti. Garbatamente, compare anche la voce solista, spiccando  dall’insieme del “tutti” corale ed armonioso.

Dedica a Giovanni D’Anzi
Milano 1960

A chiudere sommessamente la prima scena è appunto ” o mia bela madonina” con il solo registro a nota semplice di fisarmonica, accompagnata dal pianoforte.

A sorpresa, non in programma nel cartellone della stagione, Venerdi 22 dicembre 2006 nel salone San Lorenzo di Palosco una piacevole serata a scopo benefico ha intrattenuto il pubblico con il concerto di musica classico-leggera intitolato “La canzone italiana nella storia d’altri tempi”.

E’ stata la prima di un racconto musicale degli avvenimenti, le gioie, i drammi, i ricordi della guerra, gli usi e i costumi, nonché i sentimenti più significativi dell’Italia e delle sue più importanti città; tutto quel che suscitano le più popolari melodie di leggendari autori italiani, depositari del nostro patrimonio musicale, storico e culturale.

Molteplici e diversi i contenuti del concerto, che si articolano attraverso le musiche scritte per il cinema  soprattutto italiano, fin dall’avvento del primo sonoro con il trentenne Vittorio De Sica, in “gli uomini che mascalzoni” del 32 dove compare per la prima volta “parlami d’amore Mariù” di Cesare Andrea Bixio.

In scena anche i testi e la musica di Petrolini, tra i primi protagonisti del teatro, del cabaret surrealista, infatti, sempre del 32 la famosissima “tanto pe’ canta’ ” riportata al successo da Nino Manfredi che la reinterpretò al Festival di Sanremo ne 1970 come un vero e proprio pezzo teatrale. E ancora  i testi in milanese di Giorgio Strehler, questa volta con “ma mi” del 1959, la drammatica vicenda (probabilmente autobiografica) del partigiano rifugiato in Svizzera e catturato dai nazisti, imprigionato nel 44 nel carcere milanese di San Vittore, “ a ciapaa i bot, sbattuu de su e sbattuu de gio” riuscendo però a non tradire i suoi amici, nonostante le torture. La musica di Fiorenzo Carpi, e portata alla popolarità da Ornella Vanoni, nei suoi albun della “mala”.

La commedia Musicale per il teatro e soprattutto per la televisione di Garinei & Giovannini, iniziatori e autori ella maggior parte degli spettacoli e palinsesti della radio e poi televisivi (allora EIAR, oggi Rai).  Di questi, i primi spettacoli negli anni 50, “Il musichiere” con il Maestro direttore e compositore Gorny Kramer e il presentatore Mario Riva; molti noti cantanti e attori del nostro passato devono a loro l’esordio e il successo in tutto il mondo.

Mario Riva e Gorni Kramer al musichiere

Di Kramer diversi successi: domenica è sempre domenica” nota sigla televisiva del già citato musichiere, la vivace “non ti fidar” con i tipici incisi contrappuntistici del Jazz importato, suonata solo al pianoforte, ma in un divertente gioco a sei mani.

Non è mancato il malinconico e nostalgico ricordo del periodo bellico con “vecchio scarpone”, terzo posto al Festival di Sanremo del 53 per gli interpreti di Gino Latilla e Giorgio Consolini. La partenza, le difficoltà, i dolori, e il ritorno pieno di speranza e gioioso come in “mamma” sempre di C.A. Bixio e Cherubini e composta nel 41 come colonna sonora dell’omonimo film, interpretato tra l’altro da Beniamino Gigli in duplice ruolo di attore e cantante.

Un variopinto tour fra le città italiane: un racconto dei costumi, dell’amore, delle peculiarità e dei luoghi di Venezia, Genova, Milano, Firenze, Roma, Napoli…

“Ma se ghe pensu” versione con Mina 1967 alla Rai

Il dramma degli emigranti: la miseria, la lontananza, la malinconia, le sofferenze, raccontate nelle più toccanti canzoni di quegli anni. E qui ritorna D’Anzi con la sua “Nostalgia de Milan”, e ancora la malinconica e storiografica “Ma se ghe pensu” composta nel 1925 da Mario Cappello e Margutti. Il brano diventato simbolo della canzone genovese parla di un emigrante che pensa quanto sacrificio gli sia costato in America latina racimolare un gruzzoletto per farsi una casetta con il giardinetto,  il figlio cerca di convincerlo a restare dato il tempo trascorso, ormai più di trentanni, ma il ricordo della sua Genova e dei luoghi natii costringe il padre a tornare. Il brano non smette di commuovere ancora oggi dopo anni di interpretazione da parte di grandi cantanti fra cui lo stesso Cappello dopo l’esordio con il soprano Luisa Rondolotti. All’epoca anche Gilberto Govi contribuì al successo del bano. Tanti cantanti, da allora si cimentarono con il testo in dialetto genovese, da Gino Paoli, Bruno Lauzi, Massimo Ranieri, Antonella Ruggero, non ultima Mina in una toccante versione con l’accompagnamento di un magico coro nel programma televisivo Rai del 67 “Sabato sera”. Questa versione, tra l’altro arrangiata da Bruno Canfora, è stata riproposta molte volte dal lontano 67 ed a proposito, è significativo citare (per rimarcarne l’intensità interpretativa) che qualche anno fa, in un programma di Paolo Limiti dedicato appunto a Mina, venne rimandato in onda questo spezzone con grande commozione di tutto il pubblico che alzatosi in piedi non trattenne un lungo applauso.

Fernando Germani all’organo

Bellissimo il momento delle luci e dei colori della laguna veneta : “cantata per Venezia” eseguita e diffusa (soprattutto in uno spettacolo con Mina) da Fernando Germani, organisti fra i più grandi del mondo, primo interprete italiano dell’ integrale di Bach, Max Reger e Franck. Subito dopo la guerra questo grande musicista si esibì in diversi concerti nella chiesa di Sant’Ignazio per i soldati ed anche per i prigionieri tedeschi. Suonò Bach anche per la colonna sonora de “l’albero degli zoccoli”.

E ancora: “Firenze sogna”, la romantica Firenze degli innamorati,  ” dicitencello vuje” scritta nel 1930 da Falvo dove l’appassionata e disperata dichiarazione d’amore si rivela all’amante in maniera velata ed indiretta, “l’era tardi” di Enzo Jannacci altro brano di “denuncia” dell’indifferenza sociale dopo aver vissuto malinconici ricordi di guerra con l’amico Rino.

Dalle commedie di Garinei & Giovannini, “Roma non fa la stupida stasera” la concertata e contrapposta richiesta di aiuto alla città durante la festa dei lanternoni, da parte di Rugantino, Rosetta e i cori di uomini e donne. In questo caso la musica è di Armando Trovajoli.

Insomma, un programma denso di sorprese e di emozioni, all’insegna dei ricordi e del passato musicale che ha attraversato la penisola italiana, in cui il pubblico viene immerso in un’atmosfera che è al tempo stesso elegante e popolare, grazie alle canzoni che hanno segnato la storia del nostro Paese. Ci si trova a viaggiare nel tempo – dall’inizio del ‘900 al primo dopoguerra. Un quadro panoramico e vivace , ma anche un poco nostalgico dell’Italia da nord a sud, con uno sguardo attento ai sentimenti e all’amore per i propri luoghi, come la devozioni di Milano per la sua Madonina, la canzone Napoletana i cui testi si raccontano da soli e la poesia non ha bisogno di presentazioni, i colori malinconici di Venezia, Genova, Firenze e poi Roma con i loro testi vernacolari. Il tutto annunciato da un narratore, con sintesi più tendente alla poetica che al solito presentare ciò che seguirà.  Il canto quasi sempre presente, è affidato a Elisabetta Martinelli e lascia spazio anche ad interventi ed assoli ai vari strumenti che si alternano sul palcoscenico. Le luci, con giochi delicati, illuminano ed adombrano il  pianoforte, le tastiere, le chitarre, i mandolini e la fisarmonica, seguendo le varie “atmosfere” dei brani, caratterizzando più intensamente l’ascolto ricco di intense emozioni.

Il concerto è stato ideato, arrangiato e diretto artisticamente dal M° Giampaolo Botti.

Roberto Premoli